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“In ultima fila lo svizzero Clay Regazzoni con la Ensign numero 14 e accanto a lui il brasiliano Emerson Fittipaldi con la Fittipaldi numero 20”. Con queste parole lo speaker americano chiude la presentazione della griglia di partenza del Gran Premio degli Stati Uniti Ovest. C’è della malinconia nel pensare che i due piloti citati dalla voce inconfondibile di Chris Economaki, solo sei anni prima sempre qui negli Stati Uniti, seppur sulla costa opposta di quella californiana, si erano giocati all’ultimo via di quel 1974 il titolo di campione del mondo. Ma oggi, domenica 30 marzo 1980, sono soli in fondo al gruppo, quasi dimenticati da tutti, con pochi giornalisti che ronzano attorno a loro.  Eppure restano pur sempre due dei principali protagonisti di quel decennio entusiasmante per la Formula 1 che si è chiuso appena pochi mesi prima.

Formula 1 in California: Ragazzoni e Fittipaldi in coda al gruppo 

Long Beach, California. Sole, spiagge, belle donne, feste. Tutti ingredienti che si accompagnano, quando si può e si deve, alla vita girovaga di questi attori a quattro ruote. Dal 1976 la Formula 1 passa da qui quando parte, o è appena partita, la sua stagione di gare. Quattro anni prima di questo 30 marzo, tutto sommato neanche tanto tempo addietro, era stato proprio il Clay che aveva vinto con la Ferrari la prima contesa californiana. Non immaginando fra l’altro che dopo quel pomeriggio assolato in riva al Pacifico non ce l’avrebbe più fatta a riportare la Rossa davanti a tutti. A fine stagione, dopo l’amarezza del Giappone, gli era arrivata la conferma che per lui non ci sarebbe stato più posto a Maranello. Peccato, una bella storia che si chiude.

Ragazzoni e Fittipaldi in coda, Arnoux e Piquet là davanti

Ultima fila, Clay e l’amico Emerson si salutano, scambiano due parole e guardano davanti a loro. Chi sono, e come stanno messi quella ventina di colleghi? Davanti a tutti in prima fila si accomodano Nelson Piquet e René Arnoux. Due giovani emergenti, brasiliano come Emerson il primo, guascone come il Clay il secondo. Qualche fila più dietro ai migliori del lotto scorgono la sagoma della Lotus di Mario Andretti, l’ultimo insieme a loro due della vecchia guardia e l’unico, oggi lì con loro, che correva già in Formula 1 in quell’estate del 1970 quando hanno debuttato. Alla grande, tutti e due vincendo al quinto episodio. Clay a Monza ed Emerson a Watkins Glen. Anche Mario però sta soffrendo e ora non sembra più capace di stare davanti a giocarsi il podio. Già tanto se riesce a portare a casa qualche punto. Così come, loro malgrado, sono finiti a fare i suoi cari amici Clay ed Emerson. 

Long Beach e il tramonto della carriera di Ragazzoni in Formula 1

Ci siamo, ormai è tutto pronto, Regazzoni e Fittipaldi si lanciano un ultimo gesto d’intesa. Il messaggio è sottointeso: inutile farsi la guerra dei poveri, degli ultimi. Non serve a nessuno di noi due.  Lasciamola fare a quelli là davanti; abbiamo corso troppe gare per non sapere che qualcuno la mette a muro o la rompe prima della fine. Parte il giro di formazione, quello in cui per l’ultima volta si controlla che tutto sia a posto, in ordine. Accelerata iniziale, scalate ad intermittenza, ondeggiare di qua e di là dell’apertura stradale per scaldare le gomme. A Long Beach oggi, così come a Monte Carlo, come a Silverstone. Come a Monza tanti anni prima. Un occhio agli strumenti e uno alla pista. E poi i freni, verifica importante, basilare e salvifica. A loro ci si aggrappa nei momenti disperati, negli attimi che precedono l’irreparabile. A loro sono rivolte le speranze di salvezza. Anche quando sembra non ce ne siano più. Ma oggi è diverso dal solito, dalla griglia dove si salutano i meccanici alla linea di partenza c’è poco più di un chilometro, non il classico giro completo. Il semaforo li attende tutti sul lungomare di Long Beach, la mitica e infinita Shoreline Drive.

La rimonta impossibile. E che impossibile rimane

Pronti, via! In fondo a questo rettilineo Clay e l’amico sudamericano arrivano giocoforza dietro tutti, giusto in tempo per scorgere la sagoma della Brabham dell’argentino Zunino contro il muro di sinistra. Qualcuno ce l’avrà mandato a sbattere. O ha sbagliato lui. Cosa cambia? L’importante è che la tolgano da lì. Detto, fatto, e il giro dopo la monoposto sorella di quella al comando nelle mani di Piquet è stata spostata più in là, al “riparo” nella via di fuga…

Intanto la corsa continua fra errori, testacoda, soste e ritiri. Ad un certo punto Clay ed Emerson, che da quel saluto in griglia in poi non si sono mai staccati uno dall’altro, sono addirittura costretti a fermarsi in mezzo alla pista perché l’Alfa di Giacomelli da una parte e quattro o cinque avversari non ben distinguibili dall’altra sbarrano la strada. Capita anche questo in riva all’Atlantico. Tutti colpi di scena che portano prima il Clay e poi Emerson ad entrare in zona punti. Proprio loro, partiti dietro tutti e con i bookmakers che non scommettevano un dollaro su un piazzamento, men che meno su un ipotetico posto sul podio.

L’incidente di Ragazzoni visto dall’abitacolo di Fittipaldi

Giro cinquantuno. L’attimo inatteso, quello che nessuno vorrebbe vivere, si materializza nella rottura del pedale del freno della Ensign. In fondo a questa immensa Shoreline Drive il Clay pigia il piede destro come nelle cinquanta volte precedenti. Inutilmente e disperatamente. Il pedale, fresco di titanio lavorato, si è rotto. Che fare? Non c’è tempo per pensare, conta l’istinto unito alla ragione. Mentre la monoposto senza rallentare si fionda nella via di fuga, il Clay fa in tempo a vedere che a destra c’è ferma l’Alfa di Depailler, e a sinistra la macchina di Zunino che i commissari americani hanno messo lì da subito. Al riparo, pensavano loro nel farlo.

Sbam! Le ruote di destra della Brabham saltano via nell’impatto con l’Ensign che, almeno un po’, rallenta la sua folle corsa. Ma non basta però. Ci vogliono file di pneumatici e un muro, maledettamente messo in fondo chissà perché, a fermare la numero 14. Da dietro Emerson segue con la coda dell’occhio cosa capita al Clay e, lui che ne ha viste tante, capisce subito che sarà difficile rivederlo vivo. Però il mestiere chiama e il pensiero cattivo lascia spazio alla speranza per l’amico sfortunato e per il posto guadagnato.

Il freno di Ragazzoni che si rompe

Intanto, mentre Piquet corre indisturbato in testa e i superstiti vagano per la pista, gli addetti a lavori ci mettono mezz’ora a togliere Clay da quel rottame incurvato. A sedarlo e bloccarlo per portarlo via da quel luogo maledetto. E mentre Emerson, che alla faccia dei bookmakers è finito sul podio, sale a prendersi la coppa del terzo, un’ambulanza ha appena scaricato l’amico svizzero al St. Mary Hospital.

Emerson correrà ancora e tornerà a vincere. Altrove però, non più in Formula 1. Clay invece resterà settimane e settimane inchiodato ad un letto. Il lungomare di Long Beach e quel maledetto freno in titanio saranno ogni giorno che passa il suo passato, ricordo di un disperato attimo sotto il sole della California che al Clay in pochi secondi ha sostituito le familiari ruote di una macchina da corsa con quella tutte da scoprire di una sedia a rotelle.  
Enrico Mapelli