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Il seme era germogliato anche nelle manifestazioni della Cancel culture, sommariamente sintetizzabile con quel movimento che si è amplificato a partire dal 2020 con la morte dell’afroamericano George Floyd dopo un arresto per mano di un poliziotto bianco, negli Stati Uniti. E che ha preso di mira icone e simboli di una cultura figlia di un passato razzista e schiavista.

Le manifestazioni pro Palestina. E le altre sfide in favore delle minoranze

Il tema, è tanto scivoloso quanto difficilmente sintetizzabile. Ma secondo non pochi sociologi, c’è un filo comune che accomuna questo risveglio di coscienza con la volontà – idealmente, culturalmente, attivamente – atta a valorizzare i diritti delle minoranze e dei suprusi a cui questa è soggetta. La guerra in Ucraina, i movimenti per il clima o il Me Too sono galassie distanti, ma intrecciate tra loro tra il medesimo concetto di un sopruso adoperato da chi è più potente e non disdegna di farlo valere attraverso, appunto, la forza. Con tutti i distinguo del caso, lo stesso principio sta prendendo corpo nelle civiltà occidentali nei confronti della guerra nella Striscia di Gaza. Nata all’indomani degli attentati di Hamas che hanno provocato, il 7 ottobre, la morte di 1400 persone israeliane. La conseguenziale risposta militare di Israele ha dato vita alla guerra che oggi imperversa da oltre un mese nella Striscia, generando dopo il primo mese di risposta armata oltre 10mila vittime, per la maggioranza donne e bambini.

Le distanze tra gli Stati occidentali e (parte) delle masse

Ribadita la premessa di una necessità di sintesi per una situazione che affonda radici nella prima metà del Novecento – e che si innesta a equilibri geopolitici che spaziano dalla vecchia (e attuale) contrapposizione tra il mondo occidentale e quello oltre l’ex Cortina, al Medioriente e al ruolo politico sullo scacchiere globale di potenze come Arabia Saudita e Cina – quel che risulta più semplice annotare è il risultato di questo groviglio di situazioni. In cui distinguere buoni e cattivi è pressoché impossibile. Sta di fatto che soprattutto nel mondo occidentale un nuovo fenomeno emerge con forza, in questi mesi di 2023 così shackerati da immagini di guerra, conflitti e morte a cui i media hanno finito per assuefare le grandi masse. Ed è la distanza tra i governi e le posizioni ufficiali di Stato rispetto a quelle delle piazze, soprattutto quelle giovani e progressiste, che stando sul caso del conflitto israeliano non hanno tardato a mostrare una spiccata vicinanza alla causa palestinese. Che, con modi decisamente differenti, Hamas e hesbollah hanno cercato di portare avanti.

Le manifestazioni degli studenti in favore della Palestina

Limitandosi dunque a registrare quel che anche sotto casa succede, in Italia, non si può far finta di ignorare le prese di posizione che anche gli studenti hanno adottato nelle ultime ore per sostenere proprio la causa della Palestina “oppressa” dall’usurpazione israeliana, per dirla con chi sostiene che dalle parti di Gaza tutti i torni non li abbiano. E questo mentre la condanna formale è stata pressoché unanime dal mondo istituzionale dell’Occidente, lo stesso che si è schierato a favore proprio dell’Ucraina di cui sopra.