Non fanno nemmeno in tempo ad emettere il primo vagito che sono già sul profilo social dei genitori. E non solo se questi ultimi sono famosi personaggi dello spettacolo. Stiamo parlando dei bambini, o meglio, dei figli.
Si chiama Sharenting e non è innocuo
Il fenomeno prende il nome di ‘Sharenting’, un neologismo composto ibridando le parole ‘to share’ (condividere) e ‘parenting’ (fare il genitore).
Ormai sono innumerevoli infatti le coppie che scelgono di esporre sui social network la propria progenie fin da quando è ancora nel grembo materno.
Le ecografie, la nascita, il sonnellino, l’incontro con i nonni o gli zii, la prima pappa: ogni momento viene condiviso online. Come se non bastasse, spesso le foto e i video sono corredati di nome, età e luogo in cui il bimbo si trova. Ma siamo davvero certi che tutto questo sia sicuro e innocuo per i piccoli? Se lo è domandato anche la Società italiana di pediatria.
I dati
La Società italiana di pediatria evidenzia infatti che secondo uno studio europeo i genitori condividono online in media 300 scatti dei figli ogni anno. Prima di compiere 5 anni i bimbi hanno circa 1000 foto di loro stessi postate sui social.
Lo stesso studio poi rivela che le piattaforme predilette per esporre online i figli sono Facebook (54%), Instagram (16%) e Twitter (12%).
Un quarto dei bambini è presente online prima ancora di nascere. Negli Stati Uniti, ad esempio, il 34% dei futuri genitori pubblica sui social le ecografie, in Italia la percentuale si abbassa al 15%.
Le conclusioni
Tutela dell’immagine dei minori, furto di dati, riservatezza, sicurezza digitale, pedopornografia. Questi sono i rischi troppo spesso ignorati o sottovalutati da coloro che scelgono di mostrare al web i propri figli.
Nel 2022 la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza italiana, Carla Garlatti, ha chiesto per lo sharenting l’applicabilità delle disposizioni che riguardano il cyberbullismo.
Lo studio
Pietro Ferrara, responsabile del Gruppo di Studio per i diritti del bambino della Società italiana di pediatria, è il primo autore dello studio sul fenomeno che è disponibile online e in fase di pubblicazione sulla rivista Journal of Pediatrics, dell’European Pediatrics Association.

