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Sarà perché, in fondo, Matteo Berrettini lo si era sempre visto insieme a Vincenzo Santopadre. Sarà perché Francisco Roig, ex numero 60 in singolare e 23 in doppio, era sempre stato accostato alla figura di Rafael Nadal, seguito nell’ombra per quasi 20 anni. Ma è certo che vedere insieme questo giocatore e questo coach, nel 2024, sarà qualcosa di piuttosto inusuale. Anche perché sino a pochi giorni fa sembrava poter essere Enqvist il tutor del suo rilancio.

Berrettini riparte da Roig (preferito a Enqvist)

Una sensazione che poi potrà prendere due strade: quella della conferma o quella della sorpresa. E se il 27enne romano dovesse trovare proprio grazie al catalano la motivazione giusta per tornare in alto, allora significherebbe pure avere in mano delle buone carte per riprendere il filo interrotto. Oggi l’azzurro è numero 92 al mondo, ma non avrà nulla da difendere fino a marzo, visto i vari infortuni passati. E francamente è pure un esercizio poco utile guardare ai risultati degli ultimi mesi, quando il romano è stato più in infermeria che sul campo.

Lo sguardo deve piuttosto rivolgersi a un futuro si spera roseo che è ancora integro, malgrado le sfortune vissute da Berrettini negli ultimi anni. Certamente, Roig in passato è stato – per così dire – abituato bene dal proprio giocatore. Restando in tema Nadal, zio Toni dice spesso che le fortune dei coach le fanno i giocatori, non viceversa. Può darsi che abbia ragione, ma non c’è dubbio che avere a fianco un allenatore di qualità possa contribuire a superare certi ostacoli che spesso, da dentro, i professionisti faticano a vedere.

Cosa può portare Roig a Berrettini (e cosa ha dato a Nadal)

Con Rafa, Roig (presenza discreta e secondaria, ma indispensabile) doveva sostanzialmente fare opera di conservazione. Con Berrettini dovrà operare una trasformazione, essere in prima linea per lui. Almeno secondo quelli che sono i suoi credo. Un esempio? “È più importante come arrivi sulla palla di come colpisci”. E ancora: “I migliori sono tali perché si muovono meglio degli altri e dunque hanno maggiore controllo sulla palla”. Per chiudere con un dettaglio sulla preparazione mentale: “Per essere forti di testa bisogna avere un bagaglio tecnico completo. Se ho una lacuna da qualche parte, mi entrerà in testa durante il match e mi darà fastidio. Prima di parlare di mental coach, bisogna lavorare in campo”. Quindi lo spagnolo porterà nel gioco del tennista romano molta più tecnica rispetto alla sola forza bruta che lo ha contraddistinto negli ultimi anni, non a caso è soprannominato “The Hammer”.
Marco Micheletti