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Scatta quella frazione di secondo prima e fa partire la volata all’intero appuntamento, Marco Pastonesi: “Se cadono tutti, vinco io. Dino Zandegù, cento storie vere al 90%. C’è tutto nel titolo e nel sottotitolo”. In mano ha la copertina dell’omonimo libro che ha scritto per Ediciclo (192 pagine, 16 euro), con immortalato proprio Zandegù che taglia il traguardo in maglia Salvarani.

Dino Zandegù, il Fiandre e il libro con Pastonesi

Padovano di Rubuano e professionista del pedale dal 1963 al ’72, iridato nella cronometro a squadre da dilettante nel ’62, poi vincitore di 6 tappe al Giro d’Italia, della prima edizione della Tirreno-Adriatico e un Giro delle Fiandre. Passista veloce, Zandegù è anche grimpeur con pochi eguali verso le vette dell’autoironia e nella simpatia e nelle canzoni, che intona ogni volta che si trova un microfono tra le mani.

Ha ragione, Pastonesi. Perché nella biblioteca civica di Verano Brianza, così vicina a quelle rampe del Lombardia in cui decise di dire addio alla sua attività da ciclista, quando era in fuga con un vantaggio di 12’47”. Fuori dagli schemi, Zandegù, lo era allora e lo è ancora oggi, ad anni 84 e dal sorriso sincero quando racconta l’orgoglio dello striscione gli esposero al Giro: “Zandegù positivo al Barbera”.

Una carriera più che seria (quel giro delle Fiandre davanti a Merckx, una vita a battagliare con l’ex campione del mondo Marino Basso) e una rilettura semiseria della sua vita su e giù dal sellino. Tra le “Cento storie vere al 90%”, la 64 vale un tweet sull’epitome di risultati: “Gianni Mura si stupì che mio figlio si chiamasse Manolo. Perché, mi domandò. Perché è il perfetto connubio tra manubrio e Barolo, gli spiegai. Mura approvò, soddisfattissimo”. E c’è tutta la capacità di Pastonesi, per 24 anni giornalista a La Gazzetta dello Sport, nel procedere a strappi tra la narrazione godereccia e quella essenziale, in un saliscendi di scatti e discese a tomba aperta che tiene vivo un libro con intelligenza e genio.

Dino Zandegù e gli aneddoti nel libro di Pastonesi

Dall’adesivo del rivale Basso sulla cancellata accanto all’ammonimento “attenti al cane”, al misconoscimento dell’italianità del suo cognome dopo una vittoria all’Arenaccia di Napoli, fino alla spinta di Don Piero sulla salita dell’Agerola, ad Amalfi: “Prete, spingi me se no bestemmio”. Zandegù racconta e ride, i presenti ascoltano e fanno altrettanto. Come quella volta in cui, in fuga, “passammo davanti a casa dov’ero nato, dove c’era la panetteria del papà. Ero primo, avevo 3 minuti e mezzo di vantaggio e la mamma, le zie e le 7 sorelle schierate fuori casa. Mi fermai salutarle, non mi mollavano più. Sono finito quarto a 25” e Gino Bartali a fine gara mi disse: ‘Complimenti, sei anche un bravo ragazzo. Ma da quanto tempo non le vedevi?’. E io gli risposi: ‘Da stamattina’”.
Stefano Arosio