Un inno alla fiducia nel futuro, nella dedizione al sacrificio, nella capacità di saper lavorare a testa bassa per porsi degli obiettivi e cercare di raggiungerli. C’è un significato più grande, nelle interpretazioni del day after del fenomeno Sinner, quello di cui non si può fare a meno di parlare da qualche giorno a questa parte, dopo il trionfo agli Australian Open. E allora, se modello deve essere, bisogna partire da lontano per capire appieno la portata del successo di Sinner, a livello anche superiore a quello di evento sportivo.
Alle origini del fenomeno Sinner: perché ci riguarda tutti da vicino
Non sono passati nemmeno cinque anni da quando un Sinner 17enne trionfava a sorpresa nell’Atp Challenger di Bergamo. È stato proprio quello il torneo che nel 2019 l’ha lanciato facendo capire al mondo che quel’ altoatesino dai capelli rossi non era affatto uno qualsiasi. Cinque anni fa, Jannik a Bergamo ci arrivò da numero 546, invitato grazie a una wild card della Fitp e seguito da Andrea Volpini. Partite vinte a livello Challenger prima di quel torneo? Una, sul finire del 2018 a Ortisei. Insomma, nulla lasciava immaginare quello che sarebbe successo.

I primi scambi, il primo torneo vinto. E poi l’ascesa
Per rendere l’idea di quanto (poco) Sinner fosse atteso, il suo match d’esordio fu programmato sul campo secondario del torneo, in provincia, nella quasi indifferenza generale. Lo vinse contro l’austriaco Miedler, poi fu promosso sul Centrale e il resto è storia: fuori in tre set Caruso e Galovic, con un tennis già dirompente ma anche qualche incertezza figlia dei 17 anni. Poi il cambio di passo: 6-2, 6-3 ai quarti a Quinzi, 6-2, 6-3 a Lamasine in semifinale (“è troppo forte”, strillò il francese rivolto al suo angolo) e 6-3, 6-1 nella finale contro Marcora, davanti a 2.500 spettatori entusiasti e consapevoli di trovarsi di fronte a qualcosa di magico.
Sinner fuori dal campo: un elemento di rottura (positiva)
Sinner lasciò il segno anche fuori. Per i suoi modi gentili, per il contrasto fra il giocatore spietato in campo e il ragazzo qualsiasi lontano dal terreno di gioco, più a suo agio con la racchetta che col microfono. Era già così: giovane ma maturo, ingenuo ma determinato, divertente e soprattutto sicuro di sé. La prova è nell’ultima frase pronunciata davanti agli spettatori. “Forse ci vedremo l’anno prossimo”. In quel “forse” è racchiuso tutto il percorso di Jannik, ben definito sin dall’inizio. Gli erano bastati sette giorni da star per capire che la sua nuova dimensione era già un’altra e che presto i Challenger avrebbero fatto parte del passato. Non ha sbagliato: un anno più tardi era nei primi 80 del mondo, già troppo forte per ripresentarsi a Bergamo, e nemmeno cinque stagioni dopo ha un titolo Slam in bacheca.
Marco Micheletti