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In un’estrema sintesi, lo si può definire semplicemente il più grande allenatore di tennis di sempre. Per questo, raccontare la carriera di Riccardo Piatti in poche righe non è possibile. Ma può essere utile partire dal fondo, ovvero dalla notizia resa ufficiale negli ultimi giorni della partnership del coach comasco con Gabriel Debru, promettente 18enne francese ed ex numero 1 al mondo juniores con tanto di Roland Garros 2022 in bacheca. Si parte da qui, cioè dal ritorno al tennis allenato dopo l’esperienza da allenatore con Sinner, per ripercorrere tre momenti chiave di un cammino che ha pochi precedenti, non solo in Italia.

Un percorso cominciato dalla grande avventura del circolo Le Pleiadi di Moncalieri, negli anni Novanta del secolo scorso. E che adesso continua qualche chilometro più a sud, sulle colline vista mare di Bordighera, dove Piatti si è costruito un’accademia di alto livello frequentata dai big del tennis mondiale, già formati o in via di formazione.

L’epopea di Riccardo Piatti: l’allenatore che plasma i talenti

Erano tempi in cui il tennis italiano non se la passava benissimo, quelli in cui Riccardo Piatti cominciava il suo percorso. Dopo aver imparato il mestiere, Riccardo prese alcuni ragazzi che secondo altri non avevano un gran potenziale e decise di scommettere forte su di loro, mentre proseguiva il suo percorso verso l’obiettivo di diventare coach di alto livello. Erano Cristiano Caratti, Renzo Furlan, Federico Mordegan, Cristian Brandi, quei ragazzi: i primi due sfondarono in singolare, numero 26 e 19 Atp come best ranking, il terzo e il quarto furono ottimi doppisti. Oggi Brandi è ancora al fianco di Piatti nella sua accademia, mentre Furlan si è costruito una seconda carriera importante come coach. Tutti loro, come pure, in misura minore, Omar Camporese, devono a Riccardo quasi tutte le loro fortune sul campo da tennis.

Piatti per Ljubicic, rinunciando anche a Djokovic

La più grande impresa di Riccardo si chiama Ivan Ljubicic. Croato, gran rovescio ma tecnica da principio rivedibile, cominciò il suo percorso con l’allenatore lariano con grandi ambizioni e altrettanta passione, dopo essere fuggito dalla guerra di Jugoslavia. Insieme hanno costruito una storia unica, fino all’approdo a traguardi insperati. Su tutti, il numero 3 del mondo, nell’epoca dei Fab Four. Ivan non è mai riuscito a cogliere l’acuto di uno Slam, ma considerato il periodo nel quale ha vissuto si tratta quasi di un peccato veniale. Per ‘Ljubo’, un altro figlio, Piatti ha persino rinunciato a seguire un giovane Novak Djokovic, che da teenager aveva sondato il terreno. Scelte di valore, anche morale, fatte da una persona che sull’etica del lavoro ha costruito la propria vita.

L’impronta di Riccardo Piatti su Sinner (ma anche su Raonic e Sharapova)

Oggi che Jannik è arrivato dove è arrivato, a vincere uno Slam e a guardare con legittime ambizioni al ruolo di numero 1 del mondo, è inevitabile ricordare quella storia. Quando Massimo Sartori portò Sinner a Bordighera, Piatti lo accolse letteralmente in casa sua, vedendo in quello che allora era un diamante grezzo delle potenzialità mai viste prima in nessun altro suo giocatore. Riccardo e Jannik (e tutto lo staff, da Andrea Volpini e Dalibor Sirola in poi) hanno percorso insieme tutto il cammino fino al febbraio del 2022, quando ‘Jan’ ha deciso di intraprendere una nuova strada.

Ma per coloro che faticano a ricordare, bisogna rimarcare che quel Sinner era già top 10, aveva vinto le Next Gen Atp Finals nel 2019 (al termine di un’annata cominciata da numero 546 al mondo, e nei due anni successivi aveva mostrato al mondo il progetto di quello che oggi il tennis sta ammirando. Al di là dei meriti del giocatore e di quelli del suo staff attuale, nella costruzione del fenomeno-Sinner Riccardo Piatti ha avuto un ruolo fondamentale. Come ce l’ha avuto nella carriera di tanti altri giocatori, da Milos Raonic a Borna Coric, senza dimenticare il periodo con Maria Sharapova. Un patrimonio del tennis mondiale che resta immune al passare del tempo.