Ha giocato dieci quarti di finale Slam, non ne ha vinto nemmeno uno. È numero 5 del mondo (best ranking), ma ha circa tremila punti di ritardo dal quarto. Ha vinto 15 tornei Atp, ma per il suo primo e fin qui unico Masters 1000 ha dovuto attendere Montecarlo 2023. Insomma, il concetto è chiaro: Andrey Rublev è un campione, certo, ma uno di quei campioni che sembrano muoversi dentro a confini ben definiti.
Tennis, Rublev come Godot: manca sempre tanto così
Ce ne sono stati diversi, in passato: personaggi da copertina che per un motivo o per l’altro non hanno ottenuto quel successo che pareva così vicino. ‘Rublo’ è lì, guarda sempre da una distanza ravvicinata il trionfo, il torneo della vita. Ma poi alla fine si deve rassegnare a fare da spalla, ideale per il ruolo di attore non protagonista, mentre qualcuno si prende la scena e gli applausi. Montecarlo 2023 è stata una piacevole eccezione in un percorso che ormai non è frutto di casualità. Andrey non è più un bambino, ha 26 anni e mezza carriera alle spalle, motivo per cui certi confini con cui si è trovato a fare i conti oggi sembrano più solidi, più difficili da superare. I motivi? Nel caso di Rublev se ne possono individuarne due, uno di ordine tecnico e l’altro di natura caratteriale.

Tecnicamente, il moscovita poi emigrato a Barcellona è il prototipo del tennista moderno, ma il suo ritmo finisce per far giocare bene gli avversari: gioca troppo piatto e pulito. Si tratta di un ritmo talmente alto, con colpi talmente robusti e veloci, che fino a una certa soglia di classifica chi sta dall’altra parte della rete si ritrova a non avere armi. Ma quando i rivali sono i top players, quei 3 o 4 che hanno davvero qualcosa in più, quel ritmo non basta. Non solo: diventa arma a doppio taglio, capace di spianare la strada a chi ormai il suo gioco lo conosce a memoria e ha studiato le contromisure.
Cosa manca a Rublev per poter vincere uno Slam
Il secondo motivo per cui Andrey vince relativamente poco è il carattere: il russo è un buono, un cuore tenero che fa a pugni con il concetto imperante di killer instinct. Basta ascoltare una sua conferenza stampa, una qualsiasi intervista, per rendersi conto di come Rublev sia il primo critico di se stesso e al contempo un ragazzo capace di regalare sprazzi di vera umanità, in un mondo sempre più votato al conformismo. Persino la sua avventura imprenditoriale: Rublo, un marchio di abbigliamento che porta il suo soprannome. In realtà non è affatto votata al profitto: “L’ho pensata per creare consapevolezza sui temi dell’equità e della gentilezza, nella speranza di rendere il mondo un posto migliore”, ha scritto il numero 5 Atp .
A Rotterdam, dove ha vinto nel 2021, è uscito ai quarti di finale contro l’australiano De Minaur che ha poi perso in finale contro Jannik Sinner. Rublev anche in questa partita ha mostrato il suo lato “pazzo” dove si prende a racchettate e urla contro se stesso. Una normalità e cosa comune per chi ha visto almeno una partita del numero 5 Atp. E chissà che un giorno anche quel muro dei quarti Slam possa essere abbattuto. Sarebbero in tanti, in tutto il mondo, a essere felici con lui.