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Tra il 15 e il 29 marzo 1998 succede qualcosa di fuori dall’ordinario. Oppure di totalmente logico. Dipende dal punto di osservazione, dipende se si guarda al carattere o solamente al talento del personaggio in questione. Il mondo del tennis, alla fine degli anni Novanta, è dominato da Pete Sampras, re indiscusso di quell’epoca, ma anche da Petr Korda, Andre Agassi e Carlos Moya.

Gli anni d’oro del grande Sampras

Un nome però nel ‘98 è sulla bocca di tutti, quello di Marcelo Rios. Il cileno dal tennis fatato si presenta a Indian Wells da numero 7 del mondo. Forte, certo. Fortissimo. Ma con quasi mille punti di ritardo da un signore che si chiama Pete Sampras e che siede sulla poltrona di numero 1. Eppure “Pistol Pete” inciampa presto, vittima dei muscoli di Thomas Muster al terzo turno. Mentre il 22enne Rios vola, vince un match dopo l’altro incantando tutti con geometrie viste di rado in quegli anni e con una semplicità di gioco che ha pochi precedenti. È simpatico forse agli amici, Marcelo. Nel tour, quasi a nessuno. Ma mentre vince a raffica, in quel 1998, sta proponendo l’idea di poter essere chiaramente il più forte di tutti, se solo si sveglia col piede giusto.

Rios all’ombra (ma neanche tanto) di Sampras, Agassi e Moya

In finale in California batte Greg Rusedski in quattro set. È numero 3 Atp, ma non basta al cileno. Vola a Miami tra i favoriti, ovvio. Ma con il Sunshine Double che fin lì è stato affare per tre dal curriculum importante: Jim Courier, Michael Chang, Pete Sampras. Rios, tuttavia, non si impressiona per così poco. Batte Haas, Ivanisevic, Enqvist, Henman. In finale regola Andre Agassi in tre set in quella che resta probabilmente la migliore prestazione della vita. Dopo quel torneo è numero 1 del mondo. Sì, proprio lui. Il ribelle che non conosce regole di buona condotta, e che sul campo non sembra conoscere la paura, è il tennista più forte del mondo. È l’apice della carriera.

Rios numero 1, senza neanche mai vincere uno Slam

Quel trono vacilla già dopo un mese, cade definitivamente ad agosto: sei settimane in tutto, da padrone del circuito. E piano piano un ritorno al ruolo che gli compete: bellezza sì, ma pure incostanza, evanescenza di un tennis meraviglioso e impalpabile. Tutto mentre sono la solidità e la forza che si vanno a prendere il Tour. Chiude la carriera senza mai aver vinto uno Slam, Rios, con una sola finale in Australia (ovviamente nell’anno di grazia, 1998). Con tante chance mancate che per alcuni sarebbero rimpianti severi, ma che per lui sono quasi medaglie al merito. Una maniera per dire di aver vissuto il tennis a modo suo, come un divertimento e una sfida. Ventisei anni fa, un grandissimo del tennis neo-moderno, prendeva sempre più piede nel tour ma sempre a modo suo.