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Una delle voci che circolavano nelle settimane precedenti la rottura tra il Milan e Paolo Maldini ruotava attorno alla considerazione per cui un grande giocatore non è necessariamente un grande dirigente. A divorzio consumato, la distanza tra l’approccio tutto calcoli e algoritmo con quello di un sentimentalismo legato innanzitutto ai tempi del Milan di memoria berlusconiana, è stato il più facile dei pretesti per sintetizzare una distanza che andava ben oltre le appartenenze ad epoche diverse. E, sicuramente, alla genesi imprenditoriale dei soggetti in campo.

Il Maldini campione e il Maldini dirigente

Il Maldini campione sul campo, per il Milan che guardava già al nuovo stadio e a un futuro ambizioso e tutto da costruire, non era per forza quel grande dirigente che il suo status di mostro sacro del milanismo avrebbe potuto far pensare. Questo, almeno, il pensiero di chi le scelte di Gerry Cardinale, Giorgio Furlani e di tutto il nuovo corso protesto a volare alto con RedBird aveva sposato.
Il nuovo Milan nato dal mercato estivo sembrava, a inizio stagione, confermare la buona teoria di quelli che “non si può vivere solo di passato”. I Reijnders e i Pulisic, i Loftus-Cheek e in fondo anche i i Chukwueze sembravano poter dare solidità alle fondamenta del nuovo corso, sebbene poi i 27 infortuni stagionali (dato aggiornato alla partita di Champions con il Borussia Dortmund), rendimenti a volte sin troppo altalenanti e un più generale smarrimento di identità abbiano poi finito per raccontare una stagione diversa.

L’annuncio di Ibrahimovic nel momento più difficile del Milan

Il Milan che attende la trasferta di Newcastle è un Milan da dentro o fuori, concetto che non si esaurisce alla sola partecipazione alla Champions a eliminazione diretta. Ma che rischia di portarsi appresso anche Stefano Pioli, soprattutto l’infausto kappaò di Bergamo con quel tacco di Muriel che ha condannato i rossoneri a una nuova mazzata sul morale. Già segnata da tanti capitomboli stagionali, a partire da quel derby perso malamente con la manita dell’Inter sul volto.

Sì perché i guai erano iniziati lì, sebbene Pioli e i suoi avessero nelle settimane successive dimostrato di saper reagire. Ma la prima spallata all’autostima è arrivata nella stracittadina, a cui aveva fatto seguito la comparsata un po’ a sorpresa di Zlatan Ibrahimovic a Milanello. Quasi a rincuorare la sua ex squadra, visto che la carica pre partita non aveva potuto darla come invece aveva in animo di fare, prima di essere trattenuto da chissà quale altro impegno. La presenza di Ibra a Carnago, in quelle ore, era sì stata accolta con l’enfasi di chi rivede il campione dell’ultimo scudetto che tranquillizza per dire “andrà tutto bene”. Ma aveva anche incurvare le labbra a chi, con quella mossa a sorpresa, aveva cominciato a intravedere una delegittimazione di Pioli.

La delegittimazione di Pioli iniziata dopo il derby?

Che con aplomb e diplomazia aveva si era limitato a dire “questa è sempre casa sua”, riferendosi alla riapparizione messiatica dello svedese. Mediatica, invece, era stata la successiva telenovela durata prima settimane e poi mesi, circa un ritorno nei ranghi dirigenziali di Ibra. Qualcosa di simile a quel che pochi mesi prima, con la Champions da inseguire, il Milan aveva perso tempo ed energie nell’altra soap stagionale, relativa al rinnovo contrattuale di Leao.

Alla fine, proprio prima della partita in cui Pioli si gioca il futuro e il Milan una fetta enorme della propria annata, eccolo lì riapparire, Ibra nostro. Subito osannato dai tifosi che ne ricordano le gesta sul campo, ma che ancora non hanno strumenti per misurare il suo impatto dirigenziale, al di là di qualche ingombrante parola che certamente saprà dare ai suoi ex compagni di squadra. Quelle che forse Pioli non è in grado di dare? La domanda sarebbe legittima, se il peso del carisma di Zlatan è ciò che più di ogni altra cosa è stato sbandierato per osannarne un ritorno di cui – tempistica a parte – si potranno misurare gli effetti solo con quel percorso di crescita dirigenziale di cui anche lui avrà bisogno. Perché non è detto che un campione sul campo sia anche un grande dirigente. Valeva per Maldini, perché per Ibra dovrebbe essere diverso?