La kefiah sulla città del soglio di Pietro, massima espressione dell’accoglienza e dell’integrazione che il calcio di oggi sa e vuole offrire. Almeno a Roma, almeno sulla sponda giallorossa del Tevere.
Nella città pontificia – che di chi, semanticamente, costruisce ponti – l’architrave parte proprio in direzione di Riad, terra di Maometto e di Cristiano. Quel Ronaldo che ha sdoganato l’arrivo dei calciatori che contano a quelle latitudini, come hanno poi dimostrato i Brozovic e i Neymar di turno.
Lo sponsor di Riad sulla maglia della Roma. Le due città rivali per Expo 2030
Sulla maglia dell’Spqr, arriverà anche la Riad Season, marchio di uno dei maggiori festival d’intrattenimento al mondo. Che verserà nelle casse del club capitolino 25 milioni in due anni, con annessi e connessi di sponsorizzazione che nascondono un qui pro quo, giusto per citare una formula latina. Roma è candidata a Expo 2030, proprio come Riad. Una scelta tra le due candidate arriverà a Parigi il prossimo novembre ed è evidente come la scelta, di per sé legittima, crea più di un imbarazzo in vista della corsa a due verso l’Esposizione internazionale.
Comune e Regione contro la Roma per la scelta dello sponsor
Pecunia non olet, direbbero ancora una volta i romani che furono. Ma non tutti, a cominciare dalle rappresentanze attuali di Comune e Regione, hanno accolto di buon grado l’intesa. “Una mancanza di stile”, l’ha definita il Campidoglio. A cui ha fatto da contraltare la posizione (di per sé legittima) della società romanista: “Si riconoscerà il nostro brand come un brand globale”. Posizioni dure dalla Regione Lazio, con il sindaco romano Roberto Gualtieri che ha commentato: “Ci batteremo fino alla fine. Di sicuro a Riad ci temono. Noi siamo Davide, loro Golia per l’immensa capacità economica che hanno”. Altra metafora biblica, per il primo cittadino. Che vede il sogno della Città eterna per Expo tradito per 30 denari.