Mai soprannome fu meno azzeccato: Lo chiamano ‘Demon’, per assonanza col cognome. Ma il tennista australiano Alex De Minaur è un tipo buono come il pane. Nella sua rincorsa verso i top 10, finalmente raggiunti, ha dovuto lottare anche contro la sua incapacità di cogliere occasioni sui grandi palcoscenici, oltre che con un tennis generoso come nessuno mai, eppure leggero al cospetto dei grandissimi: fino a poco tempo fa, il suo record contro i top 5 era di 0 vinte e 18 perse.
I traguardi da top ten Atp di Alex De Minaur
A 25 anni, con gli ottavi a Melbourne e la finale a Rotterdam, Alex si è preso il numero 9 Atp, che diventa persino 4 se si considera la “race” verso le Finals di Torino . Un traguardo meritato, per la costanza con cui l’australiano cresciuto in Spagna ha inseguito il suo sogno, a dispetto di mezzi fisici e tecnici tutt’altro che straordinari. Nella settimana in cui difende il titolo di Acapulco, e che dunque potrebbe farlo tornare fuori dai top 10, gli serve una conferma per mantenersi nei primi 10 dell’Atp, è giusto riportare l’attenzione su una storia che dovrebbe ispirare.
Alex De Minaur, l’australiano atipico
Perché ‘Demon’ non è il prototipo del tennista moderno: non è così alto, non è robusto, non ha colpi definitivi. Eppure vince spesso, perché sa come impostare le partite e non si perde dentro ai suoi limiti. Al contrario, dai propri limiti costruisce la forza di non dare nulla per scontato. “Ho un grande cuore” dice lui, “Che mi fa andare sempre avanti, non importa quale sia il punteggio, dove mi trovi, in quale fase della mia carriera sia impegnato. È ciò che mi ha portato a questo punto ed è ciò che mi porterà sempre più lontano”.
Pur avendo raggiunto i quarti Slam appena una volta su 26 partecipazioni, l’australiano è riuscito a fare qualcosa che al tennis non riusciva dai tempi di Hewitt: Lleyton entrò nell’Olimpo dei top 10, issandosi persino al numero 1 nel periodo di interregno fra l’epoca di Sampras e Agassi e quella di Federer e soci. Al tennista di Sydney non si può chiedere altrettanto perché oggi non c’è nessun vuoto di potere, né tantomeno si prevede di vederlo a breve. Gli si può semplicemente chiedere di restare se stesso, continuando a correre e far lavorare i polmoni, con quell’aria da bravo ragazzo che meriterebbe un soprannome diverso.