C’è una nuova angoscia che appesantisce gli animi dei più giovani e non solo: si sta espandendo a macchia d’olio come un virus invisibile il fenomeno della nomophobia. Di che si tratta? Angoscia, ansia e malessere sono gli aspetti caratterizzanti di questa nuova patologia.
Nomophobia
Per nomophobia si intende l’incontrollabile paura di rimanere sconnessi dalla rete dei propri device, soprattutto gli smartphone. Giovani e adulti, sempre più dipendenti dal web, rischiano, prima o poi, di fare i conti con gravi conseguenze psicologiche e sociali che si ripercuotono inevitabilmente sulla propria quotidianità.
Origini
Il termine ha origini inglesi, dove è stato coniato per la prima volta nel 2008: “NO MObile PHone PhoBIA”, il nome dello studio commissionato dal governo britannico per investigare la correlazione tra lo sviluppo di disturbi dello spettro ansioso e l’iper-utilizzo degli smartphone.
Disturbi di addiction
La nomophobia fa parte di un insieme molto più grande di patologie legate alla dipendenza del web, denominata disturbi di addiction, della quale rientrano anche:
- Dipendenza dai videogiochi;
- Dipendenza dalle relazioni virtuali;
- Dipendenza dal sesso virtuale;
- Sovraccarico cognitivo;
- Net compulsion;
- Dipendenza da social network o social media;
- Gioco d’azzardo.
Quali sono i segnali d’allarme?
I segnali d’allarme a cui prestare attenzione per capire se la nomophobia è in agguato si diramano in due possibili strade: la sintomatologia fisica e quella psicologica.
- Problemi fisici: dolore agli occhi, schiena, collo, scarsa igiene personale, problemi alimentari (non si mangia perchè si vuole rimanere online ad oltranza), disturbi del sonno.
- Problemi psicologici: astinenza, che origina quindi irritabilità, tristezza e ansia, qualora aumenti lo stato di tolleranza (se cresce il bisogno di restare connessi più a lungo); isolamento dalla vita sociale; noncuranza della propria relazione affettiva o del proprio lavoro prediligendo la vita sul web ecc.
Soluzione? La tecnica del palombaro
Paolo Giovannelli, psichiatra e psicoterapeuta, docente di Tecniche Riabilitative Psichiatriche all’Università degli studi di Milano, ha spiegato al Corriere che è possibile correre ai ripari per mitigare la nomophobia, comportandosi come i palombari, che sott’acqua si avvalgono della “decompressione”: immergersi nel web per un dato periodo di tempo, al termine del quale si riemerge per tornare al contatto con la realtà, sociale, relazionale o sportiva che sia.

