“Abbiamo un tremendo bisogno di storie in cui identificarci e che ci facciano sentire uniti, comunità, con almeno un tratto del nostro cammino terreno da condividere insieme. E abbiamo un maledetto bisogno di raccontarcele, queste storie, un bisogno feroce che qualcuno ce le racconti, e che qualcun altro le ascolti, per riconoscerci appartenenti allo stesso genere umano, impegnato insieme nello stesso cammino”.

Le parole, Dario Ricci, non le sceglie a caso. Perché più un salto sul ring e ancor prima che un volo verso il Massachussets, il viaggio che percorre è dentro di sé e tra le domande più profonde a cui dare una risposta. Non che diventi un pretesto, il suo “Rocky Marciano, sulle tracce del mito” (Lab Dfg editore, 176 pagine, 19,7 euro). Tutt’altro. Perché nel racconto dell’imbattuto peso massimo – 49 incontri e 49 vittorie, prima della tragica morte in un incidente aereo il 31 agosto 1969 – c’è innanzitutto la storia di Rocco Marchegiano. Figlio di emigrati abruzzesi, diverrà l’unico peso massimo a concludere la carriera da imbattuto ed entrando di diritto nel pantheon degli immortali dei guantoni.
Un mito, per l’appunto, con cui Ricci – giornalista di Radio 24 – misura se stesso e l’eco delle imprese dell’americanizzato Rocky. Che mai dimenticherà le proprie italiche origini e che a Ripa Teatina, paese dei genitori, farà anche rientro. “Sapremo individuare un significato e una direzione collettiva, comune e condivisa? Da questo, non dalla paura di dimenticare, dipende buona parte del nostro presente e del nostro futuro”, argomenta Ricci. “Perciò i miti – nel loro continuo evolvere – sono essenziali: perché ci ricordano da dove il nostro viaggio è iniziato e interrogandoli ci permettono di aggiustare la rotta, rendendola un po’ meno infida pur nel mare in tempesta”.

“Rocky Marciano, sulle tracce del mito”: il libro di Dario Ricci
Anche in questo senso e al di là del nome, una roccia è proprio Marciano. Riferimento primo per il pugilato di ogni tempo. Tanto che, racconta ancora Ricci nel libro, nel virtuale ring che stabilisce il più grande peso massimo di ogni tempo, Rocky resta in piedi anche sotto il peso delle aspettative di milioni di spettatori, attraverso i continenti e i decenni. La sfida con Mohammed Ali (che Marciano continuerà sempre a chiamare Cassius Clay) avviene in digitale, vista l’incongruenza reale tra le carriere dei due pesi massimi di un pugilato che ha raccontato se stesso anche attraverso i decenni che ha attraversato. L’America bianca di Marciano, la rottura e l’anticonformismo di Clay che rifiuta la guerra e dice no al Vietnam. “Oggi Rocky farebbe una bella fatica in un ipotetico match contro un suo possibile alter ego come l’ucraino Vitalij Klycko”, prosegue nel racconto Ricci, “e anche Ali soffrirebbe parecchio contro un altro campione ucraino come Usik”. Non è solo la diatriba di ciclistica memoria tra “il più forte e il più grande” ma quel che Ricci, celebrando i 100 anni della nascita di Marciano, riassume citando lo scrittore americano Tennessee Williams: “È il tempo la distanza più grande tra due luoghi”.