Il 20% delle donne immigrate colpite da tumore al seno scoprono in ritardo di esserne affette. Ad evidenziarlo è la fotografia scattata dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e da Fondazione Aiom, che hanno presentato questi dati in occasione delle Giornate dell’etica sull’assistenza oncologica dei migranti, promosse proprio dall’associazione e dalla sua fondazione.
Rispetto alla media della popolazione delle donne italiane, le donne immigrate sono meno coinvolte negli screening preventivi e questo fa sì che queste, nel doppio dei casi rispetto al dato riguardante le italiane, scoprono in ritardo di essere affette da tumore al seno.
Secondo quanto riferito dall’86% degli specialisti ascoltati da Aiom, sono ancora troppe le disparità di accesso alla prevenzione e alle cure per questa categoria di pazienti, la quale è spesso ulteriormente messa in difficoltà dalle barriere linguistiche, dagli ostacoli burocratici e da un sovente scarso coinvolgimento nelle campagne di sensibilizzazione rivolte alla popolazione.
Ben il 39% delle donne immigrate non esegue l’annuale mammografia, prevista gratuitamente dal Sistema sanitario nazionale per tutte le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni. Le italiane che non si sottopongono all’esame annuale sono il 27%. Sei oncologi su dieci credono che la gestione di pazienti immigrati sia complessa, soprattutto a causa delle barriere linguistiche. Sono infatti solo quattro su dieci a poter beneficiare dell’aiuto di un mediatore linguistico e culturale che li supporti nella gestione del paziente straniero. Queste difficoltà, sommate, fanno sì che secondo l’81% degli oncologi la prognosi delle pazienti immigrate con cancro al seno sia peggiore rispetto alla media di quelle italiane e l’86% di loro attribuisce questo fenomeno alla disparità di accesso alle terapie in tempi rapidi.
Per garantire un equo accesso alla prevenzione e alle cure delle donne immigrate, e naturalmente anche degli uomini, c’è ancora parecchio da fare in Italia ma rispetto ad altri Paesi, come la Spagna, lo Stivale si è mosso con un certo anticipo.
Lo si legge sul sito dell’Istituto superiore di sanità, che riferisce il commento di Euro Observer sull’accessibilità delle cure europee per gli immigrati: “Le politiche sanitarie italiane rivolte agli immigrati sono relativamente sviluppate, anche se gli autori nutrono dubbi sul buon esito dei piani attuati dal Governo italiano. Questo scetticismo viene imputato alla natura sempre più decentralizzata del sistema sanitario italiano e al fatto che la responsabilità della somministrazione di servizi e della fornitura di Livelli essenziali di assistenza ricada esclusivamente sulle Regioni”.
Euro Observer inoltre sottolinea che: “In Italia le politiche di sanità pubblica connesse alla salute degli immigrati risalgono agli anni Novanta. La necessità di un accesso uniforme degli immigrati all’assistenza medica e sanitaria e l’estensione agli stranieri delle stesse vaccinazioni a cui era sottoposta la popolazione italiana vengono sancite con il Piano sanitario nazionale del triennio 1998-2000. Nella pianificazione sanitaria nazionale in vigore è invece il contenimento dei divari strutturali e qualitativi esistenti tra i servizi di assistenza sanitaria delle diverse Regioni italiane a rappresentare un’assoluta priorità”.
Punta di diamante delle politiche europee in questo campo sono i Paesi Bassi, seguiti da Svezia e Regno Unito: in questi tre Paesi infatti i dati sanitari relativi alla popolazione immigrata sono raccolti sistematicamente e questo aiuta nel più attivo coinvolgimento di questa fascia di popolazione negli screening e nelle attività di prevenzione e di cura.