Eccole lì tutte e quattro in fila. In prima fila. Davanti a tutti a fare bella mostra, a dimostrare che l’Italia avrà anche perso la guerra pochi anni prima, ma ora il dominio tecnico è suo. Sono le macchine rosse marchiate Alfa Romeo a dettare legge, e vengono da una zona di Milano, il Portello, che era stata bersagliata dall’alto da bombe che cadevano come fossero grosse gocce di metallo e morte. Ma oggi è sabato 13 maggio 1950, e quella lotta fra popoli e gerarchi si è dissolta nel ricordo dei tanti che c’erano allora e poi hanno voluto, e dovuto, cambiare pagina, dare un futuro all’Europa, cercando di unire quello che i proclami dove tempo addietro imperava la forza aveva diviso.
#FormulaOggi: Silvestone, le bombe sul Portello e l’Alfa Romeo
Silverstone, poche decine di chilometri a nord di Londra. Questo è il campo di battaglia, sistemato e ripulito, dove va in scena il primo, atteso “scontro” all’ultima curva. In questa piana inglese un militare di sua maestà una decina d’anni fa aveva disegnato sui prati confinanti un grosso rettangolo che contiene tre strade a formare una sorta di triangolo interno. Linee rette da dove, poco tempo dopo appunto, sarebbero partite squadriglie di aerei verso il continente. Bombe anche in quel caso, come al Portello. E piloti, tanti piloti, aviatori che facevano rollare questi caccia per scortare i bombardieri a loro assegnati.
Il 13 giugno 1949 la prima corsa del Mondiale di motociclismo
Ma la guerra ha lasciato il posto ad un’Europa diversa, migliore, che vuole rinascere. Anche con lo sport. E così dodici mesi prima, anzi undici visto che era il 13 giugno 1949, si era corsa la prima gara del neonato Campionato del mondo di motociclismo. Tutto sommato nemmeno così lontano, perché la terra è la stessa, l’infida “Terra d’Albione”, seppur relegata nel caso delle due ruote nella pittoresca e già leggendaria Isola di Man. E dato che erano stati più veloci di loro i dirigenti delle moto ecco che quelli dell’auto quantomeno vogliono essere migliori, più glamour. Per cui, chi c’è di più importante in Inghilterra dei Windsor, i reali britannici?
Sua maestà re Giorgio VI, con tanto di regina Elisabetta e dell’ancor giovane ma futura regnante Margareth al seguito, arriva quando tutto è quasi pronto e si fa presentare uno ad uno i corridori. Ventuno signori di tutte le età, di cui ben nove sono sudditi suoi e, mischiati al gruppo sull’attenti, ci sono anche due aristocratici quasi come lui. Uno è un principe che viene dal lontano Siam, e l’altro è un semplice barone salito a Silverstone dalla neutrale Svizzera. Niente di che.
La notte trascorsa in macchina dal giovane Bernie Ecclestone
«Signori, ci siamo, ognuno prenda posizione». Il direttore di gara richiama all’ordine i piloti. Dopotutto va bene salutare i regnanti, ma ci sono oltre centomila persone in attesa lungo il perimetro di questo aeroporto in disuso. E fra loro, nascosto da qualche parte, c’è anche un giovanotto di poco meno di vent’anni che ha dormito in macchina insieme al padre solamente per esserci. Si chiama Bernard Charles di nome ed Ecclestone di cognome. Nessuno, men che meno lui, immagina che in futuro in quel mondo sarà lui il vero re.
I piloti s’incamminano da una parte mentre i reali dall’altra per accomodarsi su un apposito palco al centro della piana e dalla cui postazione riusciranno a vedere per quasi tutto il percorso, seppur in lontananza, le evoluzioni di questi ventuno coraggiosi. Il pubblico invece può stare solo all’esterno di questo rettangolo dalla forma piegata nel mezzo, tanto lo spazio non manca. Ma tutti, re, regine, cortigiani e commissari si accorgono che ormai ci siamo, il grande momento è arrivato, perché i meccanici hanno acceso i rumorosi e sbuffanti motori intanto che i loro piloti si stanno accomodando all’interno di abitacoli larghi e scoperti.
La prima fila tutta italiana grazie alle Alfa Romeo
Prima fila, tutta rossa, tutta italiana. O quasi, perché l’Alfa Romeo ha portato sì due piloti da casa, il dottor Nino Farina da Torino e l’arcigno Luigi Fagioli da Osimo, ma si avvale anche dei servigi di un sudamericano di grande speranza, l’argentino Juan Manuel Fangio, che un mese prima ha vinto a Pau, in Francia, la gara che apriva la stagione. Con una Maserati, però. E per farsi amico il pubblico di casa i dirigenti del Portello hanno pensato bene di portare a Silverstone una quarta Alfetta 158, per metterla a disposizione di una gloria locale, Reg Parnell.
Sabato 13 maggio 1950, comincia la storia. Lord Howe, da queste parti un’eminenza in materia di corse, abbassa la bandiera e le ventuno vetture si fiondano verso la prima curva che gira a destra. Farina davanti, Fagioli e Fangio alla sua corda, Parnell poco distante. Solo in paio di occasioni l’argentino supera il piemontese ma pochi chilometri dopo tutto torna come all’inizio. Si va avanti cosi fin verso la fine. I giri in programma sono settanta da fare, ma quando ne mancano poco più che una manciata Fangio si ritrova con un tubo dell’alimentazione che si rompe. Ritiro, e addio sogni di gloria. Un quarto d’ora dopo i sogni di gloria se li porta a casa Farina che precede il connazionale Fagioli di un paio di secondi. Terzo Parnell, ma quasi a un minuto.
Il primo Gran premio nella Terra d’Albione
“Grande conquista italica nella Terra d’Albione”, si sarebbe probabilmente aperto così il cinegiornale di qualche lustro prima. In realtà di concorrenza ce n’era ben poca di valida, per cui il rischio vero era di far figura se non si vinceva a casa degli inglesi. Ma così non è andata, e quindi re Giorgio VI, con tanto di famiglia al seguito, non ha potuto far altro che scendere dalla postazione e raggiungere la pista ancora calda dove, ad aspettarli sull’attenti per ricevere le loro congratulazioni, c’erano gli uomini di un Paese che poche anni prima era un nemico. Ma anche a questo serve lo Sport con gli uomini, a trasformarli in avversari da battere, non da uccidere.
Da quel 13 maggio 1950 di gran premi e Campionati del mondo se ne sono succeduti in quantità. Davanti a re, regine, nani e ballerine. E ancora si continua…