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Per sognare bisogna essere dei visionari, non fermarsi a quello che si può fare in maniera facile, ma andare a cercare quello che ci sfida dentro, che ci chiede se siamo in grado di riuscirci, contro tutti e tutto. A raccogliere questo guanto intriso di incertezze può sembrare più logico che a farlo sia un giovane spinto dallo slancio temerario dell’età, dal volersi mostrare, mentre in questa storia il punto di riferimento è un uomo fatto da tempo, temprato dalla guerra e che ha già scavallato i sessanta. Nel suo mondo, intriso di agraria e benzina, ora ormai ha poco da dimostrare e molto da perdere. Soprattutto soldi, che a volte non sono nemmeno i suoi.

La 200 Miglia e il germoglio di Costa in Romagna

23 aprile 1972, domenica fredda e piovosa in Romagna. Sull’attenti, con la bandiera tricolore in mano, c’è un simpatico signore dall’aspetto più british che romagnolo. Si chiama Francesco Costa, per tutti Checco. Dottore in Agraria con il pallino dei motori da corsa, quasi due poli che non si attraggono se ci si ferma alla calma e al silenzio che serve per far germogliare una piantina a dispetto del rumore assordante che accompagna un uomo a cavallo del misero sellino di una moto.  Eppure per Checco sono la stessa cosa, ci vuole la stessa passione e la stessa cura. Piante e piloti, semi e pistoni. Per lui pari sono.

Però per arrivare a questa domenica romagnola di metà primavera c’è voluto del tempo, viaggi infiniti, accordi non facili da trovare. E soldi, tanti soldi, ancor più difficili da trovare. Sono tre anni che ci prova, due volte è andato vicino ad organizzare questa gara, dal nome pomposo di 200 Miglia, ma non ce l’ha fatta. Però, come detto all’inizio, basta non fermarsi alle cose facili, scontate, ma cercare di alzare il livello, spingersi fino a dove gli altri non pensano nemmeno di tentare di arrivarci.

Checco Costa, Giacomo Agostini e gli altri sul circuito di Imola

Checco è sempre lì, in piedi con la sua bandiera e vicino a lui, ad attendere il suo segnale perentorio di via, sono in tanti, più di quaranta centauri, tutti da lui contattati e convinti a venire a Imola. Tutti, a uno a uno. A cominciare dal migliore, la star per eccellenza, Giacomo Agostini con l’immancabile MV Agusta sotto il sedere. Per di più inedita, con la trasmissione a cardano, un lusso e un azzardo al tempo stesso. Ma Checco si frega le mani perché anche questo serve ad incuriosire il pubblico, e quando si è curiosi non ci si ferma e, se serve, si spende.

Dal Cile alla Brianza, tutti rispondono all’appello di Imola

Ma non c’è solo il pluriridato bergamasco a Imola, altri nomi famosi sono entrati nella lista della spesa di Checco Costa. Addirittura dal Cile il dottore in agraria con master in motori da corsa ha fatto rientrare in Italia l’Agostini di vent’anni prima, Umberto Masetti. Solo che il campione che fu di fatto è rimasto in Sudamerica, qui è venuta la sua controfigura che dopo le prove ha capito che i rischi sono tanti, più dei soldi che gli danno. Stop con le moto. Anche il Tino Brambilla, che è sceso dalla Brianza con la sua rossa Moto Guzzi, ha preferito saltar giù dalla moto. Aiuterà dai box il fratello Vittorio, più giovane e più robusto. Poi ci sono gli altri, a cominciare da quel Phil Read che si sente pronto a sfidare il trono di Ago. Ci sono altri inglesi, tanti inglesi, ben quindici, solo uno meno dei nostri. Tutti ad attendere che Checco abbassi la sua bandiera.

La Daytona d’Europa e la 200 Miglia

Ci siamo quasi, Costa si girà un’ultima volta verso i cronometristi che gli fanno cenno che è il momento di liberare i quarantuno uomini che attendono con cuore e giri del motore a mille. Passeranno in mezzo a tribune e colline dove sono in oltre settantamila i curiosi, per lo più paganti, arrivati a Imola per toccare con mano questa novità, la 200 Miglia, che in tanti hanno già denominato la Daytona d’Europa, per confrontarla con quella originale che si corre in Florida.

Come da copione, la MV numero 1 parte a razzo, aiutata dalla novità per l’epoca del via con motori accesi e piloti già in sella. Niente spinta quindi, quando tutte le volte si spera che il suono esca in fretta dagli scarichi. I primi ventuno sono già al Tamburello quando il secondo gruppo, fatto attendere in ordine alle loro spalle, riceve a sua volta il sospirato segnale. La sicurezza è anche questa, stessa gara, due partenze.

L’agraria, i motori e le Ducati desmodromiche a due cilindri

Agostini è ancora davanti, i suoi inseguitori non mollano però. Due soprattutto si distinguono su tutti, e hanno moto identiche. Sono le Ducati desmodromiche a due cilindri. Sette e mezzo di cilindrata come la MV là davanti. Si distinguono così bene su tutti che dopo pochi giri passano Agostini e vanno in testa. Bruno Spaggiari e Paul Smart, numero 9 e numero 16. Servono per farsi riconoscere dal pubblico, ma questo a Checco Costa non basta più, fa parte del suo passato. Ora a lui interessa trovare una strada nuova. Anche in quella che sembra una sorta di marchio di fabbrica del motociclismo, tuta nera di pelle senza nomi e scritte varie di marchi o slogan. Per cui chi correrà a Imola la 200 Miglia dovrà avere la tuta colorata, il nome, e possibilmente anche il numero di gara, scritto bene in grande sulla schiena. Più bello da vedere, più facile da comprendere. Oggi in tutti i campi di calcio funziona così. Nel 1972 c’è voluto un dottore in agraria per importarlo, sulle piste, non ancora negli stadi.

Intanto la corsa continua. Duecento Miglia sono trecentotrenta chilometri e nessun serbatoio ha dentro di sé sufficiente benzina per macinarli in una volta sola. Urge fermarsi, quando dai box te lo dicono, non quando vuoi tu. Per cui ecco che più o meno il momento di scambiare i box per una piazzola di rifornimento tipo autostrada arriva in contemporanea per i primi. Le due Ducati ripartono più pesanti, un paio di decine di litri di carburante bastano per arrivare alla fine. O almeno si spera.

Il primo vincitore della prima Daytona d’Europa

Agostini nel frattempo, anche se continua ad essere dietro, non è poi così lontano, pochi secondi, qualche centinaio di metri che si possono recuperare. Si possono, se tutto va bene, non se si rompe la tua rivoluzionaria moto che ti lascia nel bel mezzo della sfida. Peccato, la prima Daytona d’Europa non avrà il nome del migliore nel suo albo d’oro alla prima edizione. Ma se non sarà quello del mitico Ago, di chi sarà?

Ultimo giro, Spaggiari passa Smart e si mette davanti, certo in cuor suo che ce la farà. Alla soglia dei quaranta ecco la grande giornata, in terra di Romagna, nella carriera di questo emiliano. Tamburello, Tosa, Acque Minerali. Ci siamo, manca poco. Solo la discesa, di fianco alla scuola d’agraria, e poi la Rivazza. Italiano su moto italiana, nella Daytona d’Europa, alla faccia degli inglesi. Invece no, la benzina manca, la potenza pure. Smart ripassa primo e va, incredulo e felice, verso la linea del traguardo dove, sessantaquattro giri dopo esser partito, troverà di nuovo Checco Costa che ha cambiato bandiera, ma non postazione.

Quella bandiera che non sventola al passaggio di Smart

Il dottore in agraria però non aspetta lui. Un paio di minuti prima aveva visto passargli davanti ai piedi Spaggiari al comando. Quindi è convinto che è al connazionale a cui dare per primo il segnale di corsa finita. Nella sorpresa generale, a cominciare dai cronometristi alle sue spalle, Checco non abbassa la bandiera, gli scacchi non sventolano e Smart non capisce. C’è ancore un giro da fare? No, perché anche la sua argentea Ducati sta finendo la benzina, e quando finalmente arriva ai box si chiarisce con Costa. Ho vinto io, non la tua bandiera.

Tutto è bene quel che finisce bene. Ducati nella storia, Smart nella gloria, e in banca con i sette milioni che spettano al vincitore. Soldi promessi da Checco Costa, dottore in agraria con il pallino delle corse a motore.  
Enrico Mapelli