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Tutto è pronto, ma che fatica. Tutto è pronto nel salone delle feste dell’hotel più prestigioso di Bologna, il Baglioni. Tutto è pronto, o quasi, in verità. Perché alla presentazione in pompa magna di una nuova monoposto tricolore che sta per entrare nel mondo della Formula 1 a partire dalla stagione successiva mancano ancora i nomi del o dei piloti. Si vocifera, si dice, si immagina, ma certezze su chi e il perché non ce ne sono.

Gli 8 licenziati in tronco dal Drake e la nascita dell’ATS Tipo 100

Il pomeriggio del 15 dicembre 1962 sta finendo. La luce solare fuori ha lasciato spazio alle prime ombre della sera. In questo albergo nel centro del capoluogo emiliano, in cui dopo l’8 settembre di una ventina d’anni prima i militari tedeschi ne hanno fatto la loro sede locale, si stanno ultimando i preparativi per accogliere la piccola, ma per l’epoca grande visto che aveva l’ambizione di sfidare le monoposto migliori del mondo, ATS Tipo 100. Non tutti sanno che fino a poche ore prima questo “grosso go-kart” era ancora in fase dii rifinitura a Pontecchio Marconi, un paese della cintura bolognese. Lì, in quel fabbricato che funge da officina, l’ingegner Carlo Chiti e i suoi collaboratori stavano ancora stringendo le viti ancorate alla carrozzeria.

Ma dove nasce il tutto e perché? Portiamo il calendario indietro di dodici mesi. Novembre 1961, Maranello, regno incontrastato di Enzo Ferrari. Al termine di una riunione, la classica riunione con i suoi più stretti collaboratori, il “Drake” ne mette ben otto, non uno, alla porta. Licenziati, senza se e senza ma. Per loro è un fulmine a ciel sereno, per Ferrari il segno del comando. Pochi mesi dopo alcuni di questi sventurati, fra cui lo stesso Chiti e l’ex braccio destro di Ferrari, Romolo Tavoni, si trovano coinvolti in una nuova avventura, sempre a quattro ruote: l’Automobili Turismo e Sport. Più semplicemente, l’ATS. Dietro a quella che per alcuni è vista proprio come una sfida diretta al monarca di Maranello, ci sono tre personaggi, tutti e tre facoltosi e pieni di sé, ma al tempo stesso uno più distante dall’altro che di più è difficile immaginare. Andiamo per ordine alfabetico, all’inizio, poi si vedrà…

I collant, l’ambasciatore boliviano in Francia e il nobile casato veneziano

Giorgio Billi, industriale fiorentino vicino alla quarantina, ha fatto fortuna ideando e vendendo in tutto il mondo macchinari per la realizzazione di un prodotto arrivato in Italia nel Dopoguerra e che, complice il boom economico e la sua praticità, sempre più spopola sulle gambe delle donne: i collant. Il secondo non è italiano, viene dalla lontana Bolivia, figlio dell’ambasciatore di quel paese in Francia e di una delle donne più ricche dello stato sudamericano. Si chiama Jaime Ortiz-Patiño e, ça va sans dire, ama la bella vita e le automobili, possibilmente veloci e costruite nel Belpaese.

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L’ultimo è un giovanotto veneziano, discendente di un casato nobile con vari interessi, fra cui il cinema, e che risponde al nome di Giovanni Volpi di Misurata. Ha quattordici anni meno dei suoi soci ma, per certi versi, ha le idee più chiare di loro. A tal punto che mentre ci si sta avvicinando alla serata di gala bolognese del 15 dicembre, con giornalisti sportivi e del jet-set già pronti e i lampi dei fotoreporter di cronaca già carichi, abbandona il progetto e passa alla cassa per riprendersi il contributo versato qualche mese prima. Idem fa il sudamericano, e Billi si ritrova a dover sborsare duecentocinquanta milioni di lire dell’epoca ai due transfughi. Per chi volesse fare due conti, stiamo parlando di oltre tre milioni di euro di oggi.

A Pontecchio Marconi nasce la Tipo 100

Chiti, mentre sta progettando al primo piano di quell’anonima palazzina di Pontecchio Marconi la Tipo 100, manda i disegni ai vari fornitori sparsi nella Penisola. Quando il telaio, costruito dall’azienda palermitana Aeronautica Sicula, arriva nelle mani degli operai specializzati inizia la fase dell’assemblaggio vero e proprio. Il tempo di rendersi conto però che una volta terminata la vettura, che sarà anche un “grosso go-kart” ma non certamente una bicicletta, difficilmente potrà uscire da quell’angusto locale al piano terra, che subito salta fuori ancora una volta il “genio italico” dell’arrangiarsi. Per cui, mentre i meccanici assemblano la monoposto rossa, a pochi centimetri da loro un paio di muratori allargano la finestra che dà sulla strada antistante e ne fanno una via d’uscita ad hoc…

Nino Farina, Billi e il tragico destino di Russo e Deserti

15 dicembre, inizia la serata e Billi, ottimo e nonché unico cerimoniere pagante, s’intrattiene con i tanti invitati. Su tutti spicca un uomo che con le corse non centra nulla, ma con il potere si. Luigi Preti, rampante uomo democristiano è ministro per il Commercio con l’estero. Billi lo accompagna nel salone e, più tardi, gli cederà volentieri il microfono per le parole di rito. Per un industriale come lui, che con l’estero ci lavora quotidianamente, un’occasione da sfruttare al meglio. Ma non c’è solo il politico di turno. In sala ci sono anche piloti, di ieri, di oggi, di domani. Nino Farina, il primo iridato di quel Campionato del mondo di Formula 1 che Billi vuole scalare, è pronto a dire la sua, incuriosito dal capire come sono queste moderne macchine da corsa che, a differenza delle sue, il motore lo hanno dietro il sedere, e che lo stesso sedere è adagiato su un sedile avvolgente e non appoggiato su una specie di poltrona come quella che lui aveva dentro l’Alfetta iridata di un decennio prima.

Accanto al campione dei tempi che furono in sala s’intravvedono altri conduttori, come venivano chiamati coloro che si cimentavano alla guida di una vettura da corsa. Ci sono lo svedese Jo Bonnier e il belga Paul Frère, ma c’è anche chi sulla Tipo 100 ci s’infila per la gioia personale e dei fotografi presenti. Giancarlo Baghetti, che non più tardi di un anno e mezzo prima aveva trionfato nello storico Gran Premio di Francia con la Ferrari 156, sembra lì di passaggio ma in realtà non lo è, pur se il suo contratto con la Casa di Maranello è ancora attivo. A farsi vedere ci provano inoltre due giovani che rispondono al nome del milanese Giacomo “Geki” Russo e del bolognese Bruno Deserti, in quel 1962 speranze dell’automobilismo tricolore che purtroppo nel giro di pochi saranno accomunati da un triste destino. E poi c’è lei, la piccola ma filante Tipo 100. In mezzo alla sala, pronta ad accogliere i commenti di tutti e soprattutto le attenzioni dei giornalisti che ne parleranno da subito.

Da Romolo Tavoni a Phil Hill: le illusioni di una serata bolognese

In pratica, una bella serata rimasta nel ricordo di chi c’era come qualcosa d’inconsueto in un mondo, per certi versi ancora ingessato ed esclusivo, come quello delle auto da corsa. Dal 16 dicembre i giornali hanno poi iniziato a parlare con più diffusione di questa “antiFerrari”. Pochi giorni dopo il Capodanno del 1963 Billi, che aveva lasciato intravedere la cosa al Baglioni, conferma che a guidare le sue ATS Tipo 100 nei gran premi del Mondiale saranno quel Giancarlo Baghetti da lui invitato a calarsi nell’abitacolo per la gioia di Chiti e Tavoni, e addirittura l’americano Phil Hill che due stagioni prima si era preso il titolo di miglior pilota del mondo. Guarda caso anche loro due, pur se in tempi e modi diversi, sono dei transfughi della Ferrari.

L’avventura dell’ATS finirà malamente e per giunta in tempi brevi. Ma questa sarebbe stata un’altra storia di cui, in quella cena di gala, ancora nessuno poteva aver pensiero. Luci e ambizioni, in quella serata al Baglioni di Bologna. In cui paga Billi.
Enrico Mapelli