Quasi la metà degli italiani non sa rinunciare al sushi: lo rileva un’indagine condotta da Everli, marketplace della spesa online, che ha condotto una ricerca sugli acquisti di sushi effettuati dai suoi utenti tramite ‘web site’ e app negli ultimi due anni. Il 44% della popolazione lo mangerebbe, infatti, due o tre volte al mese. Guardando alle aree geografiche dello stivale, la Lombardia si aggiudica il titolo di regione che consuma più sushi a livello italiano con ben 4 province presenti nella Top 10: Milano (1° posto), Monza Brianza (6°), Varese (8°) e Bergamo (9°). A seguire: Torino (2°posto), Roma (3°), Trieste (4°), Bologna (5°), Genova (7°), Verona (10°). Infine, la tipologia di sushi preferita dagli italiani sono i nigiri al salmone. Ma da dove viene il tanto amato sushi al salmone? Ha davvero origini giapponesi?
Gli anni ‘70 in Norvegia, la saturazione del mercato del salmone
Erano gli anni ‘70 quando lo stato norvegese avviò l’allevamento commerciale di salmone. Tuttavia, ci fu un crollo del consumo di pesce in Norvegia, che implicò una produzione eccessiva di salmone, ottenuta anche grazie al miglioramento tecnologico nel campo dell’acquacoltura, che presto riempì i congelatori industriali di tutto il paese. Di conseguenza, negli anni ‘80, il mercato interno stava subendo un’ingente saturazione e la Norvegia dovette disperatamente trovare un nuovo mercato a cui esportare il prelibato pesce.
Bjorn Eirik Olsen e il ‘progetto salmone’
A metà degli anni ‘80, nel 1985, Bjorn Eirik Olsen, un importante esperto di marketing viene messo a capo del cosiddetto ‘progetto salmone’ da parte del Ministero della Pesca norvegese, il cui obiettivo era vendere quanto più salmone possibile ai giapponesi, in quanto all’epoca il territorio nipponico faceva fatica a soddisfare il proprio fabbisogno di pesce. Nel 1986 Olsen atterra a Tokyo per studiare le abitudini di consumo di pesce giapponese e prende consapevolezza sul fatto che il mercato di riferimento doveva essere il consumo crudo, poiché il Giappone già consumava pesce alla griglia, che era economico e anche abbondante. Tuttavia, in un primo momento non fu facile avere l’attenzione del paese del Sol Levante perché non abituato al consumo crudo di salmone e i funzionari avevano paura che contenesse parassiti, in particolare larve di Anisakis, un parassita presente nel salmone selvaggio del Pacifico. Nonostante i cambiamenti apportati alla pubblicità con fotografie delle limpide acque artiche, non si riuscì a convincere i giapponesi più scettici e il ‘progetto salmone’ sembrava pronto per la deriva.
Gli anni ‘90 e il riscatto del ‘progetto salmone’
Dopo anni di tenacia da parte dell’esperto di marketing, Olsen, si stava per rinunciare al progetto, ma poi, accadde la svolta. Nel 1992 l’azienda Nishi Rei, che Olsen conosceva da anni, accetta l’offerta di acquisire 5mila tonnellate di salmone ad una condizione: quel salmone doveva essere rivenduto al pubblico come sushi. Nel corso degli anni ‘90 le emittenti nazionali giapponesi iniziarono a promuovere il salmone norvegese tanto da distribuire il pesce nei ristoranti più piccoli e più economici per poi passare a una richiesta maggiore in tutto il paese. La domanda fu così eccessiva che il sushi al salmone divenne a tutti gli effetti un piatto nazionale.